CASSAZIONE 21 SETTEMBRE 2017, N. 43452 OPERAIO CADUTO DAL TERRAZZO, MANCATO ALLESTIMENTO DI OPERE PROVVISIONALI DI SICUREZZA, MANCATA VERIFICA DELL’IDONEITA’ TECNICO PROFESSIONALE DELL’IMPRESA E/O DEI LAVORATORI, RESPONSABILITA’ DELL’AMMINISTRATORE

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE QUARTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Presidente Dott. SAVINO Mariapia Gaetana – Consigliere Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere Dott. CENCI Daniele – rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.G., N. IL (OMISSIS); avverso la sentenza n. 1605/2014 CORTE APPELLO di LECCE, del 21/12/2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/02/2017 la relazione fatta dal Consigliere Dott. DANIELE CENCI; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giulio Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso; Udito, per la parte civile, l’Avv. G. R. del Foro di Taranto, che deposita conclusioni scritte e nota spese; Udito il difensore Avv. F. B., del foro di Brindisi, per l’imputato, che si riporta la ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Il 21 dicembre 2015 la Corte di appello di Lecce, in riforma della sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Brindisi il 10 giugno 2014 all’esito di giudizio abbreviato condizionato, di assoluzione di C.G. dal reato di omicidio colposo, sentenza che era stata impugnata dalle parti civili ( L.G., A.N. e A.P.), ha dichiarato C.G. responsabile del fatto-reato e conseguentemente lo ha condannato, per quanto in questa sede rileva, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. Centro Studi Nazionale
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  2. All’imputato si addebita di avere, in cooperazione colposa con G.F., del pari assolto dal G.u.p. del Tribunale di Brindisi il 10 giugno 2014, C. quale amministratore di condominio e committente dei lavori e G., altro condomino, quale procacciatore del lavoro e di materiale e fornitore delle attrezzature utilizzate, cagionato la morte di A.L., operaio deceduto il 2 agosto 2010 a seguito di precipitazione al suolo dal terrazzo di immobile condominiale a causa del mancato allestimento di opere provvisionali per la prevenzione della caduta dall’alto e per il mancato impiego di cintura di sicurezza con apposita fune di trattenuta.

I profili di colpa contestati nel capo di accusa attengono, quanto a C., odierno ricorrente, alla omessa verifica dell’idoneità tecnico-professionale di A.L. in relazione ai lavori commissionati ed affidati al lavoratore ed alla omessa predisposizione in fase di progettazione di un documento di valutazione dei rischi indicante le misure adottate per eliminarli (art. 90, comma 1, e comma 9, lett. a, e D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 26, comma 3); quanto al coimputato G., nella qualità di procacciatore e, quindi, di datore di lavoro, all’avere omesso di scegliere e all’avere omesso di fornire attrezzature idonee a garantire e a mantenere condizioni di lavoro sicure e a prevenire il rischio di cadute dall’alto (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 111).

  1. Essendo pacifico che A.L. sia deceduto a seguito della caduta dall’altezza di circa dieci metri da un lastrico solare condominiale mentre stava eseguendo lavori di manutenzione ordinaria con una smerigliatrice, si prende atto che la struttura argomentativa della sentenza di primo grado è essenzialmente incentrata sulla ritenuta insufficienza delle prove dell’affidamento dell’incarico di pulire il terrazzo da parte degli imputati C.G. e G.F. alla vittima, essendo emerso, in particolare dalle parole dei congiunti del defunto, che A.L. era stata contattata da un altro operaio, D.L.G., detto G..
  2. Ebbene, il ribaltamento della sentenza assolutoria, appellata dalle parti civili, deriva dal riconoscimento ad opera della Corte territoriale in capo all’amministratore di condominio della posizione di garanzia derivante dall’essere lo stesso committente dei lavori per avere affidato gli stessi all’infortunato.

Depongono in tal senso, ad avviso della Corte di appello: le dichiarazioni del coimputato G.F., condomino ma anche dipendente di altra ditta operante nel settore edile, che ha dichiarato di avere svolto il ruolo di intermediario tra l’amministratore condominiale e D.L.G. (” G.”); quelle, appunto, di D.L., che ha detto di essersi recato, insieme a G., nell’ufficio di C.G., il quale aveva proposto l’importo di 1.500,00 Euro per l’esecuzione dei lavori; quelle del condomino avv.ssa Giovanna Musco, la quale ha riferito sia che, per l’armonia esistente tra i condomini, in genere non venivano convocate assemblee per deliberare circa i lavori di ordinaria amministrazione sia che erano venuti nel suo ufficio C. e G. per raccogliere la firma relativa ai lavori di manutenzione ordinaria sul terrazzo; e quelle di un altro condomino, D.G., che, tra l’altro, ha dichiarato che l’amministratore C. era stato incaricato dai condomini di reperire una ditta; oltre all’argomento logico, secondo cui doveva essere proprio C., nella veste di amministratore condominiale, ad occuparsi dell’incarico, trattandosi di manutenzione ordinaria, spettando quelle straordinarie spettano all’assemblea condominiale.

Per concludere i giudici di appello che “in modo molto informale il C., quale amministratore condominiale, evidentemente per ottenere l’esecuzione dell’opera ad un basso costo affidava i lavori di cui si tratta, avvalendosi delle conoscenze del G. che operava anch’egli nel settore edile, al D.L. ed all’ A. (entrambi, come è risultato dalle dichiarazioni rese da A.G., in stato di disoccupazione(…))(…).

Orbene, essendo pacifico che il povero A. ebbe a perdere la vita a seguito di una caduta dal terrazzo ove stava eseguendo lavori di manutenzione ordinaria, è certo che l’evento sia causalmente riconducibile all’incarico svolto in un sito collocato ad una certa altezza dal suolo e quindi in condizioni di obiettivo pericolo per l’incolumità del lavoratore, non essendo emerso in alcun modo che causa della caduta sia stata una condotta abnorme del lavoratore infortunato suscettibile di interrompere il nesso eziologico.

Tanto più in questo caso doveva essere rilevante l’obbligo del C. di verificare in via preventiva antinfortunistica le modalità ed i mezzi di lavoro, in quanto l’incarico era stato affidato informalmente a due operai in stato di disoccupazione (per quanto potesse trattarsi di manovali esperti) e non ad un’impresa regolarmente registrata nel registro delle imprese della camera di Commercio.

Si può pertanto affermare che incombeva sul C. l’obbligo di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, comma 9 lett. a), (…) Inoltre sullo stesso C. sempre quale datore di lavoro committente incombeva ai sensi dell’art. 26, comma 3 D.Lgs. cit.


l’obbligo di elaborare in fase di progettazione un documento per la valutazione dei rischi indicanti le misure adottate per eliminarli.

Per l’effetto il C. va ritenuto responsabile ai soli effetti civili del contestato reato” (così alle pp. 3-4 della sentenza impugnata).

  1. Ricorre tempestivamente per la cassazione della sentenza impugnata l’imputato, tramite difensore, che deduce promiscuamente violazione di legge e difetto motivazionale: ed appare opportuno anticipare, per la migliore comprensione, che l’intera impugnazione, sia pure articolata sotto vari profili, ruota intorno all’assunto che il ricorrente non potrebbe considerarsi committente dei lavori che stava eseguendo la vittima, sicchè non sarebbe responsabile dell’accaduto.

5.1. In particolare, denunzia violazione ed erronea applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 e degli artt. 192 e 530 c.p.p., e degli artt. 40, 41 e 43 c.p., e, nel contempo, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, poichè, pur convenendosi che, in linea generale, l’amministratore di condominio possa considerarsi datore di lavoro o committente, conseguentemente tenuto, nella seconda ipotesi, a verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa affidataria, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi e a redigere il piano di sicurezza e coordinamento (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90), nel caso di specie, in buona sostanza, dalle fonti dichiarative valorizzate dalla Corte di appello ( G., D.L., M. e D.), ove correttamente valutate, sia in sè sia anche congiuntamente alle parole del fratello di A.L., G., secondo cui il suo congiunto era stato comandato da D.L.G. per eseguire i lavori in questione (aspetto già valorizzato in primo grado), non si trarrebbe la sicura prova che l’incarico venne affidato proprio dal ricorrente, e ciò tenendo in considerazione l’effettività e la concretezza delle mansioni e dei ruoli svolti, secondo un risalente orientamento di legittimità richiamato dal ricorrente.

In realtà – si legge nell’impugnazione – “il C. non ordinò ad alcuno l’inizio dei lavori, come confermato dalle dichiarazioni rese in udienza da D.L., non fornì l’attrezzatura, ma ha posto in essere solo una primissima valutazione circa la spesa che i condomini avrebbero dovuto sopportare (…) il C. si occupò di porre al vaglio dei condomini il preventivo avuto, così come fece con l’avv. M., riservando ogni decisione all’esito di tale valutazione” (v. pp. 9-10 del ricorso); l’imputato avrebbe, insomma, dato inizio ad attività propedeutiche all’affidamento dei lavori, prendendo contatti con (solo) due dei sette condomini affinchè valutassero la congruità dei preventivi; in ogni caso, non avrebbe svolto nessuna concreta ingerenza nei lavori (v. pp. 9 e 13-14 del ricorso).

L’assenza di interesse economico dell’amministratore, non proprietario, confermerebbe l’assunto difensivo, sottolineandosi anche che sarebbe emerso positivamente – essendo già stato valutato dal Tribunale nella sentenza riformata – che l’ordine di iniziare i lavori fu impartito a D.L. da G., condomino che doveva partecipare alla esecuzione degli stessi percependone un compenso.

La Corte avrebbe anche, erroneamente ed illegittimamente, trascurato la decisività delle dichiarazioni rese nel corso dell’abbreviato da D.L. Giorgio, il quale, in sostanza, avrebbe attribuito a G. il ruolo di committente.

5.2. Con un ulteriore motivo di ricorso si censura, sempre denunziando violazione di legge e difetto motivazionale, avere omesso di indagare sull’elemento psicologico della colpa, sul nesso eziologico tra la colpa e l’evento, sulla causalità della colpa e sulla causalità tra l’adempimento delle regole cautelari imposte e la verificazione dell’evento, in quanto la sentenza si sarebbe limitata a porre l’addebito a carico dell’imputato sulla base della sola posizione di garanzia, addirittura senza nemmeno indagare sull’effettiva causa della caduta della vittima (al riguardo si riporta in maniera critica un passaggio tratto dalla p. 3 della decisione, ove testualmente si legge che “Rilevante ai fini della presente decisione, al di là del mancato accertamento della precisa causa della caduta del povero A., è verificare chi avesse affidato i lavori all’infortunato e potesse qualificarsi a tutti gli effetti committente”).

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1.1. Mediante la proposizione del primo blocco di motivi (di cui si è dato atto al punto n. 5.1. del “ritenuto in fatto”), si


vorrebbe trarre conseguenze di diritto (cioè l’illegittimità della decisione) da una (solo auspicata dalla difesa) ricostruzione dei fatti, che risulta in realtà assertiva e meramente alternativa rispetto a quella operata dai Giudici di appello, che hanno ritenuto – fornendo al riguardo adeguata motivazione – che C.G. diede in effetti incarico alla vittima di svolgere lavori condominiali, che non verifico in alcun modo la formazione, le competenze e l’idoneità tecnicoprofessionale dell’operaio e che non adottò, nonostante si trattasse di lavori sostanzialmente in quota, nessun tipo di precauzione.

1.2. I motivi di ricorso ulteriormente sviluppati (v. punto n. 5.2. del “ritenuto in fatto”) ruotano, a ben vedere, intorno all’interrogativo circa il rispetto o meno nel caso di specie dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella nota decisione del 2016, ricorrente Dasgupta, per l’evenienza di riforma della sentenza assolutoria in appello (infatti, “Il giudice di appello che riformi, ai soli effetti civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale, anche d’ufficio”: Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta Tapas Kunar, Rv. 267489).

Ebbene, la corretta applicazione del principio di diritto richiamato non implica ineluttabilmente il riascolto, da svolgersi sempre e comunque, dei testimoni già escussi in primo grado.

Infatti, è stato – condivisibilmente – precisato che “Non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, quando la deposizione è valutata in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, ma il suo significato probatorio viene diversamente apprezzato nel rapporto con le altre prove” (Sez. 3, n. 19958 del 21709/2016, dep. 2017, Chiri, Rv. 269782).

Inoltre, “Non sussistono i presupposti per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello qualora la riforma “in peius” della sentenza assolutoria di primo grado sia fondata non già su un diverso apprezzamento in ordine all’attendibilità di una prova dichiarativa diversamente valutata in primo grado, ovvero su una diversa valutazione del suo contenuto e della sua portata, bensì su una valutazione organica, globale ed unitaria degli ulteriori elementi indiziari a carico (esterni alle dichiarazioni) erroneamente considerai in maniera atomistica dalla decisione del primo giudice” (Sez. 2, n. 3917 del 13/09/2016, dep. 2017, Fazi, Rv. 269592. Prima delle Sezioni Unite del 28 aprile 2016, ric. Dasgupta, lo stesso principio peraltro era stato già affermato, tra le altre, da Sez. 2, n. 41736 del 22/09/2015, Di Trapani, Rv. 264682, secondo cui “Il giudice d’appello per procedere alla “reformatio in peius” della sentenza assolutoria di primo grado non è tenuto – secondo l’ CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale qualora approdi, in base al proprio libero convincimento, ad una valutazione di colpevolezza attraverso una rilettura degli esiti della prova dichiarativa (di cui non ponga in discussione il contenuto o l’attendibilità), valorizzando gli elementi eventualmente trascurati dal primo giudice, ovvero evidenziando gli eventuali travisamenti in cui quest’ultimo sia incorso nel valutare le dichiarazioni”; v., in termini, Sez. 3, n. 45453 del 18/09/2014, P., Rv. 260867; nello stesso senso, cfr. Sez. 6, n. 18456 del 01/07/2014, dep. 2015, Marziali, Rv. 263944; Sez. 5, n. 16975 del 12/02/2014, Sirsi, Rv. 259843).

Facendo applicazione dei richiamati principi, si osserva che nel caso di specie la Corte territoriale ha riformato la sentenza ai soli fini civili valorizzando le stesse fonti di conoscenza già valutate dal G.i.p. (il contenuto delle testimonianze di cui si è dato atto al punto n. 4 del “ritenuto in fatto”) ma giungendo a risultato diverso. Riscontrandosi la presenza della necessaria “motivazione rafforzata”, corretto e logico, in definitiva, risulta l’argomentare della sentenza impugnata, che offre adeguata giustificazione a tutti i temi evidenziati dalla difesa nel ricorso (elemento psicologico, nesso eziologico, causalità della colpa e posizione di garanzia) e, in conseguenza, non si impone come necessario il nuovo ascolto dei testimoni.

Solo suggestivo, infine, ma non probante il passaggio del ricorso relativo al mancato accertamento della causa del decesso, emergendo invece chiaramente dalle sentenza di merito che la ragione della morte sta nella precipitazione dall’alto, da ben dieci metri, di A.L., che stava svolgendo lavori nell’interesse del condominio senza alcuna cautela antinfortunistica: infatti, in materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione di opera, il committente, anche quando non si ingerisce nell’esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l’idoneità tecnico – professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi scelti in relazione ai lavori affidati (Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2014, Heqimi e altri, Rv. 264975).


Al rigetto del ricorso consegue, per legge (art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento del spese processuali ed alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili, che si liquidano, viste le tariffe professionali, come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al rimborso delle spese di giudizio in favore delle parti civili liquidate in tremila Euro, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2017. Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

Fonte: Centro Studi Nazionale Anaci