CASSAZIONE 05 SETTEMBRE 2019, N. 22184

REPUTAZIONE DEL CONDOMINO MOROSO, PRIVACY, DIVIETO DI INFORMAZIONI RESE A SOGGETTI ESTRANEI AL CONTESTO CONDOMINIALE DELL’ADEMPIMENTO O INADEMPIMENTO AL PAGAMENTO DELLE QUOTE, AZIONE DENIGRATORIA, DIFFAMAZIONE

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente Dott. SESTINI Danilo – Consigliere Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15904-2018 proposto da:

D.E., L.G., elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio dell’avvocato S. G., che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato E. R.; – ricorrenti –

CONTRO

A. A. SPA in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. Z.F., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato F. A. M., che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato A. P.;

B. O. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore presidente del C.D.A. Dott. C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato D. B., che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati G. C., A. L.; – controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1065/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 08/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/06/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
che:

M.D. M. D. A. s.r.l. (B. O. s.p.a.) convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Genova D.E. e L.G. chiedendo la condanna al risarcimento del danno. I convenuti, costituitisi in giudizio, proposero domanda riconvenzionale di risarcimento del danno; il L. in particolare chiamò in causa C. A. s.p.a. sulla base di polizza assicurativa stipulata quale amministratore di condominio. Il Tribunale adito rigettò entrambe le domande. Avverso detta sentenza proposero appello principale l’originaria parte attrice ed incidentale, condizionato all’accoglimento dell’appello principale, la società assicuratrice. Con sentenza di data 8 agosto 2017 la Corte d’appello di Genova accolse l’appello, condannando il D. al pagamento della somma di Euro 20.000,00 ed il L. al pagamento della somma di Euro 4.000,00, oltre interessi dalla sentenza.

Osservò la corte territoriale che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, non operava l’esimente di cui all’art. 598 c.p. perchè le lettere inviate dall’avv. D. non si inserivano in alcuna controversia giudiziale nè erano espressione di scritti difensivi, ma costituivano iniziative epistolari del tutto extragiudiziali (nè giustificava l’applicazione dell’esimente il riferimento in alcune lettere a vicende giudiziali già intercorse) e che, fra le lettere allegate, per talune lettere emergeva il carattere diffamatorio, ed in particolare: la diffida del 14 maggio 2008 alla concedente L. s.p.a. era accompagnata dal riferimento alle “notizie apparse da mesi sulla stampa in relazione ad una importante inchiesta giudiziaria in corso a carico della società M.D. M. D. a. s.r.l.”, laddove invece, a parte l’esistenza dell’animus nocendi (non si comprendeva quale fosse la rilevanza di indagini penali che avessero attinto l’utilizzatrice dell’immobile in una diffida avente ad oggetto violazione di regole condominiali), gli articoli giornalistici in questione non menzionavano indagini penali a carico di M.D. (nè tantomeno quest’ultima era sottoposta ad indagini), sicchè indubbio era l’intento diffamatorio, tanto più che la missiva era indirizzata a soggetti, quali il Sindaco di Genova ed il Presidente della Regione Liguria, che nulla avevano a che fare con le questioni condominiali oggetto di doglianza (chiaramente di comodo era l’uso dell’espressione “in considerazione della particolare attività esercitata nei vostri locali”); la lettera di data 16 giugno 2008, sempre inviata al Sindaco di Genova ed al Presidente della Regione Liguria, ribadiva (contro il vero) che gli articoli giornalistici indicati nella lettera del 14 maggio 2008 avrebbero dimostrato che effettivamente M.D. era “sottoposta ad importante inchiesta in corso”; la lettera di data 31 luglio 2008, sempre inviata al Sindaco di Genova ed al Presidente della Regione Liguria, nonchè alla ASL competente ed all’Azienda Ospedaliera (OMISSIS), conteneva l’aggiunta che la conduttrice M.D. “adducendo giustificazioni pretestuose, quest’anno non ha versato neppure un centesimo di spese condominiali”, aggiunta che, quand’anche vera, integrava diffamazione lesiva della privacy perchè non costituente atto difensivo nell’ambito di controversia e volta esclusivamente a mettere in cattiva luce la società dipingendola come una soggetto, oltre che avente a carico indagini penali, inadempiente alle obbligazioni pecuniarie.

Aggiunse che anche il L. doveva ritenersi civilmente responsabile, pur per un quantum differenziato stante il suo ruolo secondario, per le seguenti ragioni: l’avv. D. si qualificava scrivente in nome e per conto di condominio amministrato dal L., il quale indubbiamente ne condivideva le iniziative o comunque le accettava senza distinguersi (come dimostrava fra l’altro la congiunta difesa in giudizio); nella comparsa di costituzione in primo grado del convenuto L. non era mai stata negata la riconducibilità anche a quest’ultimo delle iniziative epistolari del D.. Osservò inoltre la Corte che l’appellante non aveva provato che il danno subito si fosse tradotto in caduta del volume d’affari, ma doveva considerarsi il detrimento morale, nella sfera non patrimoniale della reputazione, derivante dalla “campagna denigratoria” per una società come l’appellante “in affari con enti pubblici del capoluogo ligure per l’allocazione di strutture sanitarie”, sicchè ricorreva una ipotesi di danno in re ipsa. Aggiunse che le affermazioni dell’appellante circa la “volontà di destinare il risarcimento incamerato a fini benefici in favore dell’Istituto Gaslini di Genova” dovevano “essere attuate dalla parte destinataria in giudizio del risarcimento, non ravvisandosi ragioni perchè il giudice civile possa fare destinatario/beneficiario di una sua pronuncia un terzo estraneo al giudizio”.

Aggiunse ancora, premesso che non era stato proposto appello incidentale, che il L. aveva omesso di riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. la domanda di garanzia nei confronti della società assicuratrice e che, ai fini della soccombenza


virtuale per il regolamento delle spese processuali, un indubbio ostacolo all’accoglimento della domanda di garanzia era rappresentato dal fatto che la polizza assicurativa aveva ad oggetto le condotte colpose, mentre il L. era stato condannato per una condotta dolosa (quella diffamatoria), e che si trattava di danni di natura non patrimoniale quali quelli derivanti dall’offesa all’altrui reputazione.

Hanno proposto ricorso per cassazione D.E. e L.G. sulla base di quattro motivi e resistono con distinti controricorsi Black Oils s.p.a. e Amissima Assicurazioni s.p.a.. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 97 e 111 Cost., , 9 e 10 Cedu, artt. 51, 595 e 598 c.p., L. n. 241 del 1990, art. 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Osserva la parte ricorrente che dovevano essere applicate le scriminanti del diritto di libera espressione del pensiero e quella del diritto di esercizio della difesa, riguardando le missive fatti veri quali il contenzioso in essere, i comportamenti tenuti nell’ambito di rapporti condominiali, l’esistenza di procedimenti penali e la morosità ed essendo indirizzate ad autorità che non potevano non essere interessate a tali circostanze.

Il motivo è inammissibile. I ricorrenti assumono l’esistenza delle scriminanti del diritto di libera espressione del pensiero e quella del diritto di esercizio della difesa in assenza però dell’accertamento da parte del giudice di merito del corrispondente presupposto di fatto (e senza che sia stata proposta rituale denuncia di omesso esame di fatto decisivo e controverso). Quanto alla libera manifestazione del pensiero non risulta accertata l’esistenza di una manifestazione di opinione, ma solo di missive concernenti una diffida stragiudiziale o la denuncia di circostanze di fatto. Quanto alla scriminante di cui all’art. 598 c.p. il giudice di merito ha accertato che gli scritti in questione non erano relativi ad una controversia giudiziaria o ad un ricorso amministrativo. La censura infine contrappone al giudizio di fatto del giudice di merito in termini di falsità del riferimento in articoli giornalistici alla sottoposizione ad indagini penali di M.D. (o comunque di irrilevanza della verità del fatto quanto alla vicenda degli oneri condominiali) una diversa valutazione delle circostanze fattuali, che è profilo non sindacabile nella presente sede di legittimità.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 111 Cost., , 9 e 10 Cedu, artt. 40, 42, 595 e 598 c.p., artt. 112, 113 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Osserva la parte ricorrente che la condotta del L. non può essere considerata dolosa, e quindi al di fuori della copertura assicurativa, trattandosi di attività svolta non dal L. medesimo ma da un terzo, senza che la legge preveda che debba risponderne anche un soggetto diverso dall’autore della condotta diffamatoria, e che il L. non aveva mai sottoscritto le missive inviate dall’avv. D., nè la legge prevedeva un obbligo di dissociazione. Aggiunge che la copertura assicurativa dovrebbe sussistere perchè si trattava di attività stragiudiziale compiuta dal difensore del condominio, potendosi l’incarico del legale apprezzarsi al massimo come condotta colposa. Conclude che erroneamente è stato ritenuto che gli appellati non avessero accettato la rinunzia agli atti del giudizio da parte dell’appellante, trattandosi invece di rinunzia invalida perchè condizionata.

Il motivo è inammissibile. Il giudice di merito ha accertato che il L. aveva condiviso le iniziative epistolari del D. o comunque le aveva accettate L senza distinguersi e ha quindi sul piano del fatto giudicato come riconducibili anche al L. le iniziative del D.. Trattasi di giudizio di fatto come tale non sindacabile nella presente sede di legittimità, se non nei limiti della denuncia di vizio motivazionale, non specificatamente proposta.

Sulla questione della rinunzia la parte ricorrente è priva di interesse trattandosi di questione puramente teorica, senza alcuna ricaduta pratica sul piano del rispetto della legge processuale.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., Cedu, art. 40 c.p., artt. 112, 113 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Osserva la parte ricorrente che il L. non aveva l’onere di riproporre espressamente la domanda di garanzia in sede di appello essendo sufficiente richiedere la conferma della sentenza di primo grado ed il rigetto dell’appello.

Il motivo è inammissibile. Va rammentato che in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa


pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all’accoglimento, la devoluzione di quest’ultima al giudice investito dell’appello sulla domanda principale richiede la espressa riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (cfr. Cass. sez. U. n. 7700 del 2016 e ). La parte ricorrente è comunque carente di interesse a sollevare la questione (come si è appena visto infondata) della necessità o meno della riproposizione della domanda avendo accertato il giudice di merito, in sede di soccombenza virtuale ai fini del regolamento delle spese processuali, l’estraneità al rischio garantito dall’assicurazione della condotta del L. per la presenza di condotta dolosa, ed essendo stato dichiarato inammissibile il precedente motivo avente ad oggetto l’esistenza di valida copertura assicurativa. Aggiungasi, sempre a proposito della carenza di interesse, che non è stata impugnata l’esclusione della copertura assicurativa anche per il fatto che si trattava di danni di natura non patrimoniale quali quelli derivanti dall’offesa all’altrui reputazione, sicchè per tale aspetto la censura sarebbe anche priva di decisività.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2043 e 2059 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Osserva la parte ricorrente che non conforme a diritto è la condanna al risarcimento di un danno in re ipsa e che l’appellante non ha chiesto la condanna al risarcimento in proprio favore ma in favore di un terzo, sicchè la corte territoriale ha violato il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

Il motivo è inammissibile. La censura consta di due sub-motivi entrambi estranei alla ratio decidendi e pertanto privi di decisività. Al di là del riferimento all’espressione in re ipsa, il giudice di merito ha affermato che doveva considerarsi il detrimento morale, nella sfera non patrimoniale della reputazione, derivante dalla “campagna denigratoria” per una società come l’appellante “in affari con enti pubblici del capoluogo ligure per l’allocazione di strutture sanitarie”. In tal modo ha fatto applicazione di una prova presuntiva.

Quanto al secondo sub-motivo il giudice di merito, interpretando la domanda, ha affermato che la volontà dell’appellante era “di destinare il risarcimento incamerato a fini benefici in favore dell’Istituto (OMISSIS)” e dunque non vi era istanza di condanna in favore di un terzo, ma solo una manifestazione di intenti.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di B. O. s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di A. A. s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019. Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

Fonte:Centro Studi Nazionale Anaci