REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE CIVILE – 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente Dott. ABETE Luigi – Consigliere Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24702-2018 proposto da:
B.G.A.F., rappresentato e difeso dall’avvocato M. S.;
- ricorrente –
CONTRO
CONDOMINIO, rappresentato e difeso dall’avvocato S. P.;
- controricorrente –
avverso la sentenza n. 1091/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 14/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO
SCARPA.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
B.G.A.F. ha presentato ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza della Corte di appello di Catania n. 1091/2018, depositata in data 14 maggio 2018.
Il (OMISSIS) resiste con controricorso.
Con ricorso per decreto ingiuntivo del 5 marzo 2013, B.G.A.F., ex amministratore del (OMISSIS), chiese al Tribunale di Catania la condanna dell’intimato Condominio al pagamento della somma di Euro 65.874,88, esponendo di esserne creditore a titolo di compensi professionali e di rimborso di spese anticipate per la gestione condominiale. L’ingiunzione venne resa in data 2 maggio 2013. Il Condominio propose opposizione, adducendo che sia il “passaggio di consegna” del 13 settembre 2011 all’amministratore subentrante, sia la dedotta Delib. condominiale del 7 aprile 2011, non costituivano prove del credito ed eccependo, in subordine, la prescrizione del credito professionale.
Con sentenza del 10 luglio 2017, il Tribunale di Catania accolse l’opposizione e condannò B.G.A.F. al rimborso delle spese processuali.
B.G.A.F. propose gravame dinanzi alla Corte di appello di Catania, sostenendo, tra l’altro, che il Tribunale di Catania avesse erroneamente omesso di considerare come l’approvazione dei rendiconti da parte dell’assemblea del 7 aprile 2001 comprendeva anche il debito azionato, sia per anticipazioni sia per compensi dovuti allo stesso.
Con sentenza n. 1091/2018, depositata in data 14 maggio 2018, la Corte di appello di Catania respinse l’impugnazione.
Il primo motivo di ricorso di B.G.A.F. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e ss., artt. 1720, 1988 e 2697 c.c., per avere la Corte di appello erroneamente statuito che “non può assurgere a valore di prova di detto credito il verbale di passaggio delle consegne al nuovo amministratore e l’impegno o il versamento di un acconto e ciò vale anche per l’anticipo non autorizzato dall’assemblea, di guisa che lo stesso non può essere valutato come una ricognizione di debito”. Secondo il ricorrente, la sottoscrizione da parte del nuovo amministratore del verbale di consegna, indicante anche il credito a lui spettante, avrebbe valore di atto di ricognizione del debito. In particolare, tale verbale, rappresentando la situazione patrimoniale al 31 dicembre 2010, avrebbe riconosciuto “un credito da parte dell’amministratore B.G. di Euro 37.203,95 per anticipazioni di cassa e di Euro 26.718,40 per compensi da fatturare relativi agli anni dal 2006 al 2010”; inoltre l’assemblea del 7 aprile 2011, prosegue il ricorrente, deliberò “di dover procedere al pagamento dei saldi al 31/12/2010” tra cui risulterebbero “i debiti verso l’amministratore B. per compensi dal 2006 al 2010 – 2.718,40 e anticipazioni di cassa da parte dell’amministratore B. – 37.203,95”. Il versamento dell’acconto da parte del nuovo amministratore, avvenuto dopo la delibera assembleare, costituirebbe l’esecuzione della volontà assembleare di procedere ai pagamenti, senza alcuna riserva.
Col secondo motivo di ricorso si censura la violazione degli artt. 61, 191, 115 e 116 c.p.c..; art. 1713 c.c., art. 24 Cost., avendo la Corte di appello errato a non ammettere la richiesta c.t.u., poichè ritenuta esplorativa. La sentenza impugnata, in particolare, ha affermato che “l’appellante produce documentazione bancaria riguardante gli esborsi da propri conti personali, tuttavia, a parere del collegio, detta documentazione non appare sufficiente a dimostrare il credito”. Sostiene il ricorrente, la consulenza avrebbe avuto lo scopo di ricostruire il rapporto contabile non controverso nella sua esistenza e l’asserita insufficienza sarebbe stata superata dalla ricognizione del debito operata dal nuovo amministratore in seno al verbale di passaggio di consegne ed anche dal versamento dell’acconto in favore dello stesso B.G.A.F..
Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1854, 129 e 1713 c.c., artt. 115, 116 e 100 c.p.c., per avere erroneamente ritenuto la Corte di Catania che “tutta la documentazione bancaria prodotta, se da un canto, non consente una ricostruzione precisa delle eventuali anticipazioni del B., dall’altro, costituisce un riscontro preciso alla gran confusione dei patrimoni dell’amministrazione e dei condomini amministrati. Alla stregua di quanto sopra esposto, si deve necessariamente concludere affermando che nella fattispecie in esame manca la prova degli esborsi da parte dell’amministratore uscente”. Il ricorrente sostiene, al contrario, di aver raggiunto prova piena della sua domanda attraverso la documentazione prodotta e, nello specifico, mediante: 1) il passaggio di consegne al nuovo
amministratore con il riconoscimento del debito del Condominio; 2) il bonifico effettuatogli a titolo di acconto; 3) la delibera assembleare che ebbe ad approvare i rendiconti e ad autorizzare il nuovo amministratore a procedere ai pagamenti.
La Corte di appello avrebbe altresì errato nel non aver tenuto conto della irrilevanza, ai fini della causa, della cointestazione di uno dei conti correnti al B. ed alla moglie. Ancora erronea sarebbe stata la valutazione data alla circostanza che nei conti correnti, rispettivamente intestati l’uno al B. e l’altro ai coniugi, “risultano versati oneri condominiali relativi ad altri condomini”.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in reazione all’art. 375, comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
I tre motivi di ricorso, per la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente e si rivelano del tutto infondati.
La Corte di appello di Catania ha ritenuto, con apprezzamento di fatto che costituisce prerogativa del giudice di merito, come non fosse stata raggiunta la prova del credito relativo al compenso ed alle anticipazioni vantato dall’ex amministratore del Condominio. Secondo la sentenza impugnata, non assurge a prova di tale credito nè il verbale di passaggio di consegne all’amministratore subentrante, nè il versamento di un acconto senza ulteriore specificazione.
Le tre censure intendono allora sollecitare questa Corte a rivalutare la sussistenza della prova, nella contabilità condominiale, degli esborsi effettuati e delle attività espletate da B.G.A.F., ma tali valutazioni e calcoli costituiscono accertamenti di fatto demandati al giudice di merito, e sono incensurabili in cassazione se non sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
E’ consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, poichè il credito dell’amministratore per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del Condominio si fonda, ex art. 1720 c.p.c., sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini, è l’amministratore che deve offrire la prova degli esborsi effettuati, mentre i condomini (e quindi il Condominio) – che sono tenuti, quali mandanti, a rimborsargli le anticipazioni da lui effettuate, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte, ed a pagargli il compenso oltre al risarcimento dell’eventuale danno – devono dimostrare di avere adempiuto all’obbligo di tenere indenne l’amministratore di ogni diminuzione patrimoniale in proposito subita (Cass. Sez. 2, 26 febbraio 2019, n. 5611; Cass. Sez. 6 – 2, 17/08/2017, n. 20137; Cass. Sez. 2, 30/03/2006, n. 7498). Era dunque l’amministratore B. a dover fornire la dimostrazione dei fatti su cui fondare la propria pretesa di recupero delle spese sostenute. Spetta invece all’assemblea il potere di approvare, col conto consuntivo, gli incassi e le spese condominiali, ma solo una chiara e definitiva indicazione in bilancio dell’importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili può costituire idonea prova del debito dei condomini nei confronti del precedente amministratore (arg. da Cass. Sez. 2, 28/05/2012, n. 8498; Cass. Sez. 2, 14/02/2017, n. 3892).
D’altro canto, va altresì ribadito, a conferma del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello, come l’accettazione da parte del nuovo amministratore della documentazione condominiale consegnatagli dal precedente (e dunque, nella specie, il verbale di consegna sottoscritto con riguardo alla situazione patrimoniale al 31 dicembre 2010), ovvero anche un pagamento parziale, a titolo di acconto, di una maggiore somma, non costituiscono prove idonee del debito nei confronti di quest’ultimo da parte dei condomini per l’importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili, spettando pur sempre all’assemblea di approvare il conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l’opportunità delle spese affrontate d’iniziativa dell’amministratore. La sottoscrizione del verbale di consegna della documentazione, apposta dal nuovo amministratore, non integra, pertanto, una ricognizione di debito fatta dal condominio in relazione alle anticipazioni di pagamenti ascritte al precedente amministratore e risultanti dalla situazione di cassa registrata (Cass. Sez. 2, 28/05/2012, n. 8498).
La sentenza impugnata ha comunque negato anche la sussistenza di una deliberazione assembleare di approvazione del rendiconto, che specificasse le somme a carico del condominio da corrispondere all’amministratore cessato dall’incarico. Questa Corte, del resto, ha pure già affermato che la deliberazione dell’assemblea di condominio, che procede all’approvazione del rendiconto consuntivo, pur ove evidenzi un disavanzo tra le entrate e le uscite, non consente di
ritenere dimostrato, in via di prova deduttiva, che la differenza sia stata versata dall’amministratore con denaro proprio, in quanto la ricognizione di debito postula un atto di volizione da parte dell’organo collegiale in relazioni a poste passive specificamente indicate (Cass. Sez. 2, 09/05/2011, n. 10153). Essendo il mandatario che agisce in giudizio per la corresponsione del compenso ed il recupero delle spese e degli esborsi sopportati per l’esecuzione dell’incarico a dover fornire la dimostrazione dei fatti che ne costituiscono il fondamento, e cioè dell’esecuzione del negozio gestorio e dell’esborso effettuato in occasione di esso, e non trattandosi di accertare, perciò, situazioni di fatto verificabili soltanto con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche, neppure è censurabile in sede di legittimità la mancata disposizione della consulenza tecnica d’ufficio da parte del giudice di merito, utilizzandosi altrimenti la consulenza come strumento idoneo ad esonerare la parte dall’onere della prova o a procurare esplorativamente circostanze o elementi non provati.
II ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al Condominio controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater, – da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020
Fonte: Centro Studi Anaci