CASSAZIONE 24 FEBBRAIO 2020, N. 4909
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE CIVILE – 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente Dott. ABETE Luigi – Consigliere Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16663-2018 proposto da: B.I., G.P., rappresentati e difesi dall’avvocato F. P. F.;
- ricorrenti –
CONTRO
CONDOMINIO, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato D. F., rappresentato e difeso dall’avvocato S. F.; – controricorrente –
avverso la sentenza n. 3740/2018 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 03/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2019 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
G.P. e B.I. hanno presentato ricorso, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza n. 3740/2018 del Tribunale di Milano, depositata in data 3 aprile 2018.
Resiste con controricorso il Condominio di (OMISSIS).
Con atto di citazione notificato in data 23 febbraio 2012, il Condominio convenne, dinanzi al Giudice di pace di Milano, G.P. e B.I., chiedendo l’accertamento della illegittimità degli interventi da questi ultimi effettuati sul terrazzo dell’immobile di loro proprietà (nella specie, dell’avanzamento del terrazzo a filo del muro perimetrale di facciata, con annessione del cornicione e della parte di gronda che lo attraversa), sito nello stabile di (OMISSIS), poichè eseguiti in violazione degli artt. 1102 e 1120 c.c. e del regolamento condominiale, in assenza di alcuna autorizzazione; chiesero, inoltre, una pronuncia di condanna al ripristino dello stato dei luoghi originario, con contestuale autorizzazione rilasciata al Condominio per intervenire direttamente nell’esecuzione delle relative opere, in caso di inerzia dei convenuti, nonchè la vittoria di spese del giudizio.
Con sentenza n. 109241/2013, depositata il 27 giugno 2013, il Giudice di pace rigettò la domanda, con compensazione delle spese processuali, rilevando come “dalla documentazione prodotta in atti e dall’istruttoria esperita gli interventi eseguiti sulle parti comuni non abbiano violato l’art. 1102 c.c. o l’art. 1120 c.c. non essendo dimostrato che i suddetti interventi abbiano alterato la destinazione della cosa comune o che abbiano impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso”.
Con atto notificato in data 11 febbraio 2014, il Condominio di (OMISSIS), propose appello in base a tre motivi: 1) erroneità della decisione laddove il giudice di primo grado aveva escluso che le opere realizzate da G.P. e B.I. violassero gli artt. 1102 e 1120 c.c.; 2) erroneità nell’interpretazione ed applicazione dell’art. 8, lett. d), del regolamento di condominio; 3) erroneità della decisione di compensare le spese processuali.
G.P. e B.I. si costituirono in giudizio proponendo appello incidentale.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 3740/2018, depositata in data 3 aprile 2018, ha riformato integralmente la sentenza di primo grado, rigettato l’appello incidentale e condannato G.P. e B.I. a rifondere al Condominio le spese di giudizio di entrambi i gradi del giudizio. In particolare, il Tribunale, “accertata l’illegittimità delle opere realizzate sul terrazzo dell’appartamento di proprietà” degli odierni ricorrenti, ha condannato i medesimi “al ripristino dello stato dei luoghi originario autorizzando il Condominio, in caso di inerzia protratta oltre sessanta giorni dalla sentenza, a provvedere a tali opere direttamente”.
Il primo motivo di ricorso censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione dell’art. 1102 c.c., per avere il Tribunale di Milano erroneamente ritenuto che le opere realizzate abbiano interessato parti condominiali dello stabile, costituendo il canale di gronda porzione dell’edificio destinata all’uso comune per la sua funzione di scarico delle acque piovane provenienti dal tetto; al contrario, sostengono i ricorrenti, la gronda non è mai stata modificata, avendo mantenuto la funzione di raccogliere l’acqua non piovana proveniente dal terrazzo di esclusiva proprietà dei medesimi.
Col secondo motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione dell’art. 1102 c.c., per avere il Tribunale affermato che gli interventi eseguiti hanno comportato l’illegittima occupazione permanente del canale di gronda, in relazione alla parte di esso coperta dal prolungamento della soletta del terrazzo, con conseguente uso esclusivo di una parte comune per una funzione diversa rispetto a quella cui è destinato.
Il terzo motivo deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione degli artt. 1102 e 1117 c.c., per avere il Tribunale ravvisato una violazione della simmetria e del decoro, costituendo il parapetto del balcone parte della facciata dello stabile, ed essendo i lavori realizzati opere esterne incidenti sull’architettura dell’edificio.
Col quarto motivo, i ricorrenti lamentano “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione del regolamento condominiale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, Omessa pronuncia”. Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere assorbito il motivo con il quale il Condominio ha contestato l’applicazione dell’art. 8 d), del Regolamento condominiale da parte del giudice di pace. Secondo i ricorrenti, le opere non sono “illegittime in quanto espressamente vietate dal Regolamento”, e, piuttosto, avrebbero dovuto essere preventivamente autorizzate dall’assemblea per non incorrere in una violazione procedimentale, non avendo il regolamento natura contrattuale e non essendo stato approvato all’unanimità da parte dell’assemblea, ma a maggioranza semplice. In conclusione del motivo, i ricorrenti sostengono che il Tribunale abbia perseverato nell’errore poichè, nonostante il ritenuto assorbimento del motivo, non si è pronunciato sul fatto che tale censura sia stata introdotta per la prima volta in appello.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso proposto potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.
I primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, rivelano diffusi profili di inammissibilità, e sono comunque infondati. Essi si connotano come una sollecitazione al complessivo riesame della situazione di fatto accertata dai giudici del merito. Sono inammissibili, infatti, le censure di erronea o mancata valutazione dei fatti, o di erronea motivazione, in quanto l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). I ricorrenti, quindi, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, devono indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Non integrano, pertanto, il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le considerazioni svolte nei motivi del ricorso, che si limitano a contrapporre una diversa ricostruzione dei fatti, ovvero una diversa valenza delle risultanze istruttorie, invitando la Corte di legittimità a svolgere un nuovo giudizio sul merito della causa. Parimenti, la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprietà esclusiva (nella specie, dell’avanzamento del terrazzo con annessione del cornicione e della parte di gronda che lo attraversa), ai fini dell’utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune, nonchè a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; e l’accertamento se l’opera del singolo condomino, mirante ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, sia conforme o meno alla destinazione della parte condominiale, è compito del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (nella specie, il Tribunale di Milano ha spiegato, a pag. 5 della sentenza, le ragioni per cui la realizzazione delle opere in questione abbia alterato la destinazione e impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto).
Il terzo motivo di ricorso presenta ugualmente profili di inammissibilità e si rivela nel complesso infondato. Come spiegato dal Tribunale, “il parapetto del balcone (interessato dall’esecuzione delle opere da parte di G.P. e B.I.) costituisce parte della facciata dello stabile, in ragione della sua prevalente funzione estetica per l’edificio, così da divenire elemento decorativo ed ornamentale essenziali della facciata”. La decisione del Tribunale di Milano si uniforma all’interpretazione di questa Corte. Se i balconi di un edificio condominiale non rientrano, infatti, tra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, nè essendo destinati all’uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della
facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (Cass. Sez. 2, 14/12/2017, n. 30071). E qualora il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall’applicabilità della disciplina sulle distanze, è necessario che, in qualità di condomino, utilizzi le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, 28/02/2017, n. 5196, relativa proprio a domanda di riduzione in pristino di un balcone sul quale erano state eseguite opere in violazione dell’art. 1102 c.c.).
La precisazione in fatto su cui insistono i ricorrenti, avvertendo che la parte interessata ai lavori consistesse in una ringhiera metallica, rimane del tutto priva di decisività, giacchè la natura di parte comune dei rivestimenti e degli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore di un balcone, che contribuiscano a rendere l’edificio condominiale esteticamente gradevole, può essere ravvisata con riguardo tanto a parapetti, quanto a balaustre, ringhiere e simili.
Costituisce peraltro innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. Sez. 2, 11/05/2011, n. 10350), non potendosi attribuire, tra l’altro, decisiva, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 c.c., al grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate (Cass. Sez. 2, 16/01/2007, n. 851).
In tale rinnovato diretto apprezzamento del merito della lite i ricorrenti confidano ancora nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, allorchè ribadiscono che la gronda e la ringhiera coinvolte nell’intervento edilizio di ristrutturazione del terrazzo di loro proprietà non fossero beni condominiali, e ridefiniscono i particolari edilizi delle opere realizzate.
Il quarto motivo di ricorso si rivela, infine, inammissibile.
Il Tribunale di Milano ha ritenuto assorbito il secondo motivo di appello dedotto dal Condominio relativo all’erronea applicazione dell’art. 8 del regolamento condominiale (di cui si era dibattuto anche dinanzi al giudice di pace), essendo il primo motivo sufficiente all’accoglimento dell’appello. La sentenza impugnata ha peraltro poi comunque valutato l’astratta fondatezza di tale doglianza, sostenendo come il regolamento introducesse un divieto alla realizzazione sulle proprietà individuali di ogni opera esterna che “modifichi l’architettura, l’estetica o la simmetria dell’edificio” ed imponesse una preventiva autorizzazione scritta in caso di realizzazione di modifiche interne ai locali di proprietà esclusiva. I ricorrenti non hanno tuttavia alcun interesse a dolersi della pronuncia resa dal Tribunale su un motivo di appello formulato dalla loro controparte e pregiudizialmente dichiarato assorbito dal medesimo giudice, il quale, dopo aver dichiarato fondato un primo motivo di gravame, distinto ed autonomo, giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, abbia non di meno esaminato l’astratta fondatezza di una ulteriore censura rimasta assorbita. L’esame del quarto motivo di ricorso non si rivelerebbe in nessun caso idoneo a determinare l’annullamento della sentenza del Tribunale di Milano impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della prima censura assorbente accolta.
Consegue il rigetto del ricorso, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore del controricorrente nell’importo liquidato in dispositivo. Devono altresì essere liquidate le spese processuali sostenute dal Condominio di (OMISSIS), nel procedimento di sospensione dell’esecuzione ex art. 373 c.p.c., come allegato dal medesimo controricorrente nella memoria (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 24/10/2018, n. 26966; Cass. Sez. 6 – 3, 20/10/2015, n. 21198).
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater – da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel
giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; nonchè le spese processuali dell’incidente di sospensione davanti alla Corte di appello, che liquida in Euro 1.000,00, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 20
Fonte : Centro studi Anaci